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Incontriamo Gianfranco Manfredi, cantore degli anni ’70, all’epoca si diceva cantautore, per una doppia occasione. La prima è che sono passati trent’anni dall’uscita del suo LP (quei cosi neri di vinile che venvano chiamati dischi) dal nome “Zombie di tutto il mondo unitevi” e la seconda riguarda la premiazione al Romics, il festival internazionale dei fumetti di Roma dal 4 al 7 ottobre come autore di Magico Vento.
-Quel disco ha girato parecchio sui piatti dei giovani dell’epoca, come hai vissuto quel periodo?
Io raccontavo quello che vedevo e vivevo, non c’erano tematiche particolari. Usavo molta auto ironia anche per tematiche urticanti, il titolo ad esempio ha un’ironia drammatica ed il pezzo ha venature horror, mentre con il brano “Ultimo Mohicano” c’è una ironia sorridente consapevole del fatto che quel movimento era già alla fine: il mohicano con il sampietrino in mano era arrivato tardi alla manifestazione già finita.
-Questi testi pessimisti come erano visti dal Movimento?
La generazione del ’77 era autocritica fino quasi all’autolesionismo, differentemente da quella del ’68. Era lo stesso periodo del Punk in Inghilterra dove si era arrivati alla autodistruzione. Oggi sopravvive la stessa ironia con Caparezza, ad esempio, con la canzone fuori dal tunnel del divertimento, sana antiretorica e critica.
-Ti sei sentito sopravvalutato come cantore di una generazione?
Nel trentennale del ’77 non c’è libro commemorativo dove non ci siano le mie canzoni in ruoli anche centrali. Da un lato mi fa piacere, dall’altro mi disturba un po’. Sono canzoni importanti per quegli anni insieme ad altri cantautori come Lolli e tanti altri, io però ho mantenuto lo spirito settantasettino di sperimentare cose nuove e mi piacerebbe si parlasse più di ciò che faccio oggi piuttosto che di ieri. Gli anni settanta non possono essere sottoposti allo stesso processo di revival che c’è stato per i sessanta.
-Quand’è finito la spirito del ’77?
Già a metà anni settanta. La nostra etichetta milanese infatti si chiamava “Ultima Spiaggia”. Con noi poi c’erano persone che avevano già l’esperienza del ’68,. Fu un’onda molto lunga che non si poteva prolungare. Il pezzo sul Parco Lambro (…E’ l’ultimo spettacolo, non solo della festa, la mia generazione che svuota la sua testa…) lo scrissi appena tornato a casa. Ero talmente agitato che non riuscivo a dormire. All’epoca si poteva andare direttamente in sala di registrazione ed il disco usciva un mese dopo, le case discografiche avevano la capacità di essere calde, stare sul momento. Già negli anni ottanta le cose sono cambiate, dovevi fare un disco ogni due anni ed in quei due anni potevi promuoverlo. La creatività invece vuole che se hai qualcosa da dire puoi rientrare in sala anche una settimana dopo l’uscita dell’album. Questo mi ha allontanato dalla musica anche se ogni tanto ho continuato a far uscire qualcosa.
-Dal tuo sito internet vediamo che ti occupi di cinema, teatro, libri e fumetti. A proposito di questi ultimi ritiri a Roma un premio al ROMICS.
Ti riferisci a “Magico Vento” un fumetto che ho creato e di cui scrivo le sceneggiature. E’ un mensile in edicola da dieci anni, western dalla parte degli indiani, sono già uscite 112 storie. Sto per fare uscire una serie nuova che si chiamerà “Volto Nascosto” una storia italiana della fine dell’ottocento, la prima guerra coloniale italiana in Africa. Una esperienza nuova anche perché si parla di eroi italiani con nomi italiani differentemente dai soliti luoghi e nomi stranieri. Credo siano maturi i tempi per storie con le proprie città. Ad esempio Roma alla fine dell’ottocento può sorprendere un ragazzo che la vive oggi. Domenica Romics premia “Magico Vento”, insieme a Staino, Vincino e musicisti come Guccini. Le fiere del fumetto hanno ripreso a far comunicare settori separati come negli anni settanta.
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